Intervista al regista scomodo


Nick Tambone, rifiutando l'appellativo di santo e trovando immeritato quello di poeta, si definisce "pittore trash dei nostri giorni oscuri".
Giovane salmone del trash e allievo di Tommaso Labranca (a sua insaputa, come capita sovente agli innamorati non corrisposti), ha pubblicato la recente intervista al nostro regista Giorgio di Grazia sulle pagine del proprio blog: www.nicktambone.com
Come è scaturita la passione per il cinema? Difficile rispondere. Diciamo che i primi sintomi si sono manifestati in tenera età, dapprima sotto forma di un’archiviazione mnemonica e quasi autistica dei nomi degli attori: riuscivo a mandarne a memoria diverse centinaia. Non ho mai capito come facessi, dal momento che adesso fatico a ricordare perfino il cognome dell’amministratore del mio condominio. Subito dopo c’è stato il periodo delle grandi rassegne cinematografiche nei cinema d’essai milanesi: tutto Fassbinder, tutto Buñuel, tutto Pasolini, tutto Kluge, tutti accalcati in piccole sale mefitiche, con il panino alla cipolla in mano, assistendo per ore anche a tre o quattro film di seguito. Lo zeitgeist della mia epoca formativa aveva l’odore acre del sudore e dell’alito pesante che allignava in quegli ambienti. E’ nata lì la mia proverbiale intolleranza per i lugubri soggetti che rumoreggiano nelle sale durante la proiezione, biechi figuri ai quali auguro sempre, all’uscita, d’incontrare una Erinni steatopiga affetta da furia mestruale, capace di smembrarli con sapienti e precisi movimenti delle anche.

Quale è stato il tuo primo lavoro cinematografico?

Senza dubbio Espettorare è un po’ morire, una sorta di summa del camp, del nonsense spinto alle estreme conseguenze, anche fisiche. Assistere alla visione di questa pellicola suscita ancora oggi emozioni forti, quasi catartiche: una catarsi del catarro.

Come è nato in te l'interesse per il trash? Immagino che non riguardi soltanto il cinema... Difficile per un italiano contemporaneo non essere trash. Siamo stati un popolo d’inventori e umanisti, certo, ma questo fa parte ormai di un passato remoto. Da almeno sessant’anni siamo legati alla costante imitazione dei fenomeni culturali d’oltreoceano dei quali cogliamo inesorabilmente solo gli aspetti epidermici, riuscendo così a fallire miseramente nel gesto vano di una loro riproduzione. Quella degli italiani è una coazione al trash.

Il libro di Tommaso Labranca Andy Warhol era un coatto rappresenta il manifesto indiscusso del fenomeno trash, oltre ad essere l'unico studio serio sull'argomento. Analizzando le tue opere, e in particolare L'ultimo dei Caimani, con gli strumenti critici forniti da quel testo, si delinea un profilo più vicino al camp che al trash vero e proprio. Credo infatti che, dei famosi "cinque pilastri", manchino qui i più importanti: l'intenzione velleitaria e l'emulazione fallita. Qual è la tua opinione?

Probabilmente hai ragione. Quello che si è delineato con le nostre opere è puro camp. Però abbiamo tentato anche noi, talvolta, di elevarci culturalmente imitando pedissequamente certi stilemi imposti dai grandi maestri: l’emulazione è fallita ma nessuno se n’è accorto, tanto oscuri erano questi richiami. Nel tentativo di fare una ciambella con il buco siamo riusciti a fare un buco nell’acqua: niente male, no?

Come è nato il tuo sodalizio con Davide Manglavite? Condividete sempre le vostre idee? Ci sono contrasti? Ci siamo incontrati per caso diversi anni fa e devo dire che il maggior pregio della nostra relationship risiede proprio in questa totale diversità d’opinioni che ci divide e avvicina ad un tempo: diversità politiche, culturali (nell’accezione più ampia del termine), fisiche (la mia bellezza classica e il suo apparire segaligno e un po’ inquietante).

E' vero che il budget de L'ultimo dei Caimani è stato di sole 200 mila lire? Sembrano davvero pochi, anche per una produzione amatoriale... Confermo su tutta la linea. Come ben sai, la rivista specializzata Forcipe (edizione italiana di Forbes), nella sua classifica riguardante il costo di produzione delle opere cinematografiche per il 1998, ha posto Espettorare è un po' morire subito dopo il titanico Titanic di James Cameron: un kolossal. Nel senso che la notizia è una colossale bufala.

Al film ha partecipato Andrea G. Pinketts (tra l'altro qui è l'unico attore che sembra avere un po' di talento per la recitazione :-) ). In che modo siete riusciti a coinvolgerlo nel vostro progetto? Pagandolo lautamente. No, scherzi a parte (come direbbe un capostruttura di Canale 5 pensando ad un noto programma televisivo) è un amico di Manglavite, da sempre numero uno nella classifica dei suoi ammiratori. Non ha potuto tirarsi indietro e, come spesso accade in questi casi, si è fatto avanti.

Pinketts recita nella parte di Lazzaro Santandrea, il protagonista del suo romanzo Il senso della frase, ma nel film appare un altro personaggio di quel libro e cioé Pogo "il dritto". L'ultimo dei Caimani intende in qualche modo proseguire la narrazione del libro con altri mezzi, oppure si tratta di semplici citazioni?

Non direi proprio. Pogo non appare nelle vesti del suo personaggio: è un semplice passante, un incontro occasionale, per il quale non si è reso necessario neppure proteggersi con un profilattico come da raccomandazione ministeriale.

Puoi raccontare un aneddoto su Pinketts? (Però non dirmi che si ubriaca, per favore :-) ) Qualche anno fa, in un bar milanese ormai scomparso, davanti a una pessima birra, l’ho sentito pronunciare le fatidiche parole: “Credo di aver perso l’ispirazione”. Stava vivendo la sua personale difficoltà creativa, insomma, ma credo che quel dolore di artista sia durato solo pochi attimi, giusto il tempo di veder riflessa la propria immagine pensierosa nella birra ormai calda ed emettere un rutto tonitruante prima di orinare e ordinarne un’altra (l’ennesima). Poi ha prodotto almeno altri due romanzi particolarmente facondi.

Tutti gli attori del film sembrano piuttosto interessanti. Una curiosità: le donne di Scannapieco e Vitiello sono vostre fidanzate? No. Devo dire che questa scelta ha reso particolarmente perplesse le nostre compagne di allora, non convinte delle nostre intenzioni artistiche quando, nel corso di una prima stesura della sceneggiatura, avevamo pensato a torride situazioni di sesso con le loro omologhe sullo schermo. Siamo stati costretti a stravolgere l’intera vicenda.

Le scene con l'Orsetto Baciotto corrono parallele ed estranee alle vicende dei protagonisti. Perché le avete inserite? Era un pretesto per citare l'Ikea? L'Ikea non sembra più essere quell'icona trash dipinta alla fine degli anni '90. Anzi, pare che la blogosfera l'abbia piuttosto rivalutata. Lo stesso Tommaso Labranca ne parla bene. Cosa ne pensi? Ci sono voci in disaccordo. Labranca ne parla bene ma Fincher, in Fight Club, non tanto. Essendo un uomo di cinema sto dalla parte del secondo, anche se il film mi è piaciuto a metà perché non abbastanza coraggioso, come le tante pellicole libertarie americane dell’ultima generazione di “autori” che pensano di sfidare i cliché hollywoodiani girando dei kolossal.

Gli esterni de L'ultimo dei Caimani sembrano voler cogliere un'aspetto inedito di Milano, al di fuori degli stantii luoghi comuni da spot. Non è inquadrato neanche una volta nessuno dei monumenti-simbolo che caratterizzano questa città, tanto che uno spettatore distratto potrebbe faticare a riconoscerla. Perché questa scelta?

Questo è tutto merito di Davide, il vero esperto meneghino. Volevamo rifuggire dalla dimensione del panettone.

E' vero che il proprietario della fabbrica abbandonata, dapprima entusiasta di concedere il permesso per le riprese, ha poi chiesto di non comparire nei "credits" sui titoli di coda? Come definisci questo atteggiamento nei confronti del trash?

Credo che in ballo ci fossero argomentazioni più concrete, ovvero legali. Non credo che il signore in questione avesse una particolare percezione del fenomeno trash nel suo insieme.

Scannapieco e Vitiello sono personaggi tragici. Al licenziamento reagiscono bene: vagano per la città sbeffeggiando, insultando e aggredendo fisicamente una gamma di personaggi-simbolo di un falso buonismo-perbenismo. Eppure restano annichiliti scoprendo le reciproche compagne impegnate in un rapporto saffico. Perché deragliano proprio in quel momento?

Lo dico senza guizzi sinistrorsi, anche se la tentazione è forte: perché sono dei borghesi e di meschinità borghese è intriso il loro essere. Pronti a masturbarsi senza esitazione alcuna davanti a un duo lesbo durante la visione di una pellicola hard sbavando come facoceri, si stracciano le vesti quando il duo si rivela essere composto dalle tribadi in pectore che hanno sposato.

So non ho capito male, mi pare che tra i tuoi "maestri" di riferimento ci siano Nanni Moretti e Pierpaolo Pasolini. E' vero? Qualcosa che ammiri e qualcosa che detesti in loro. Quali altri registi ammiri? Premettendo che nulla degli autori che ammiro si è mai riversato o si riverserà consapevolmente nelle opere passate e future, direi piuttosto che mi sento più vicino a Fassbinder o a Buñuel. Il primo per la visione disincantata dei rapporti amorosi, dove c’è sempre chi comanda e chi è comandato (certo non è una sua scoperta, ci sono stati anche i teorici del conflitto), il secondo per il suo spirito irrivirente e antireligioso. In Moretti comunque detesto la presunzione degli esordi e le sue sparate nella vita pubblica. Di Pasolini amo davvero tutto: rivedersi mille volte l’episodio de La ricotta in Ro.Go.Pag per capirne il motivo.

Perché, a tuo parere, un regista come Muccino ha tanto successo? Perché la nostra è un’epoca superficiale e Muccino affronta tutti i temi restando per l’appunto in superficie. Dal momento che oggi gli intellettuali e gli artisti in genere dicono quello che la gente vuol sentirsi dire, non possono che sollevare un generale consenso. Così il pasto è assicurato. La lezione di Pasolini è andata a farsi benedire. Faccio mia (nel senso che me ne approprio indebitamente) una frase di Orwell che, per difendersi degli attacchi censori a Animal Factory, parlava della libertà dell’intellettuale scrivendo: “Se libertà vuol dire veramente qualcosa, significa il diritto di dire alla gente quello che la gente non vuol sentire”.

Ti conosco come accanito lettore. Elencami alcuni testi facenti parte della tua Bildung. Non ho preferenza alcuna e soprattutto non affronto mai lo stesso testo due volte. La nostra vita è segnata dall'incedere ineluttabile del tempo che ne determina le azioni e soprattutto le scelte. Così siamo costretti a non rileggere i libri per non privarci dalla possibilità di affrontarne di nuovi, perché le lancette dell’orologio scorrono e noi ci avviciniamo sempre più alla fine, mio caro. Dopo questa incursione nella New Age e averti rovinato la giornata con il mio memento mori, posso solo aggiungere che, in deroga a questa norma che mi sono data, tengo sul comodino (che non ho) I sommersi e i salvati di Primo Levi, che considero una specie di Bibbia laica personale da rileggere compulsivamente nei momenti di sconforto.

Sul sito della Trash-O-Matik citi sovente Generazione X di Coupland. Descrivimi un tuo tabù personale. L’onanismo, perché contrariamente a quanto dicono i preti nel confessionale, non si limita ad incrementare il fatturato degli istituti oftalmici (spesso fondati da religiosi, coincidenza questa che indurrebbe ad una seria riflessione), ma conduce alla morte. La Genesi recita infatti che Onan, disperdendo per terra, suscitò l’ira di Dio che lo fece morire. Dio me ne scampi, appunto.




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